Amico Libro, due consigli di lettura che portano un messaggio di speranza

L’associazione di volontariato culturale Amico Libro, su indicazione dello scrittore Pier Luigi Coda, segnala due libri che portano un messaggio positivo di speranza che nasce dall’esperienza della pandemia:

  • “Stefano Gerbaudo. La santità a qualunque costo” di Roberto Falciola
  • “Riprendiamoci la vita” di Derio Olivero
Seguono le recensioni dei libri. Trovate gli articoli pubblicati da Amico Libro a questo link

Roberto Falciola, “Stefano Gerbaudo – La santità a qualunque costo”, edizioni AVE, Roma

Oggi sembra prevalere l’immediatezza dell’eclatante, il grido che arruola masse e genera opinione; la parola è aggressiva, roboante, prevarica pensiero e giudizio critico, insomma, emerge con arroganza perché con l’arroganza si conquista la ragione. Però… però poi il tempo, con fatica, “a pochitus a pochitus”(1), diremmo giorno dopo giorno, le cose si mettono al loro posto; la storia, nel tempo, riposiziona gli scaffali del pensiero, apre brecce nel dimenticato e, tra gli spiragli dischiusi del silenzio, si riappropria del suo percorso, ritrova autenticità, regala conforto.

Questo, credo, sia la sintesi della vita e dell’opera di don Stefano Gerbaudo, del suo camminare come un clandestino in mezzo ad una folla chiassosa e roboante; con modestia, con perseveranza, con il fulgido esempio di una vita, non buttata nel cimento del prendere o arraffare, ma messa a disposizione del prossimo, offerta come un sacrificio al prossimo e illuminata dalla forza del Vangelo.

Ma chi è Stefano Gerbaudo? Chi ne ha mai sentito parlare? Certamente pochi al di fuori della cerchia familiare e di coloro con cui ha avuto relazioni nella sua missione evangelica. Sì, perché Stefano Gerbaudo era un comunissimo prete della campagna del cuneese. Un semplice prete che non ha fatto miracoli ma che della sua vita ne ha fatto un miracolo. Nella sua missione sacerdotale – verrebbe da dire, nel suo mestieraccio di sacerdote – non c’è nulla di straordinario se non la straordinarietà della sua ostinazione nel perseguire un obiettivo di santità, ad ogni costo, con rigorosa consapevolezza, senza tentennamenti o oscillazioni ma con fermezza, fatica, indomita lucidità d’animo.

Attraverso le burrasche di due guerre mondiali (1909 – 1950), tra grandi attese e devastanti cadute, noi vediamo la figura di don Stefano Gerbaudo pedalare sulla sua bicicletta ovunque ci sia una voce che chiama, un’urgenza fisica o spirituale. E non importa che splenda il sole o fiocchi la neve, il gelo della notte o la calura dell’estate che brucia le stoppie della pianura, il dovere non aspetta il tepore della primavera, l’imperativo categorico è stato scolpito nella roccia del cuore: “la santità ad ogni costo” perché “la preghiera vince tutto”.

Questa è l’immagine di don Stefano che emerge dalla biografia scritta da Roberto Falciola per le edizioni AVE di Roma: un sacerdote intransigente e severo con se stesso e, nello stesso tempo, affabile e comprensivo sempre disponibile nei riguardi del prossimo. Un uomo dai carismi semplici che gli permettono di dedicarsi splendidamente alla formazione dei giovani, prima come Direttore spirituale del seminario di Fossano e, successivamente, come assistente diocesano della Gioventù Femminile di Azione Cattolica e fondatore del gruppo delle Cenacoline.

Forse, don Gerbaudo, nella sua visione totalizzante alla conquista della santità, potrebbe apparire un sacerdote d’altri tempi, probabilmente demodè, più vicino al “parroco di campagna” di Bernanos che all’evangelizzazione mediatica del terzo millennio; ma la santità ha codici comportamentali e parametri temporali? Don Gerbaudo ha scelto la strada della discrezione, dell’impegno e del rigore assoluto e con queste credenziali è oggi in atto la causa per la sua beatificazione e canonizzazione.

Roberto Falciola percorre questa strada raccontandocela con un ritmo narrativo asciutto, solido, senza fronzoli che non si concede mai all’emozione agiografica o celebrativa ma che sta semplicemente ai fatti e alla documentazione storica. Raccoglie testimonianze e scritti che incorniciano una personalità che ha saputo sublimare il dovere di vivere nella luminosità della trascendenza.

(1) espressione dialettale usata da Don Gerbaudo che significa più o meno “pochino per volta”.

(Commento di Pier Luigi Coda da www.dictamundi.net)


Derio Olivero, “Riprendiamoci la vita” – Effatà Editrice, Cantalupa

A un certo punto della vita si è stufi di leggere insulsi romanzetti o reboanti profezie di saccenti soloni che promettono ricette taumaturgiche per sanare tutti i mali dell’anima e dell’universo, da quelli economici a quelli politici, da quelli etici a quelli sociali. Trovo più oneste e leali le brillanti biografie di Francesco Totti e Gian Luca Vialli.

E del pari, a un certo punto della vita si rinuncia ad acquistare le “centomila o dieci milioni di copie vendute” perché dopo tre o quattro pagine non sai più dove metterle: la biblioteca di casa è stracolma, il baracchino dei libri usati non ti guarda nemmeno se gli proponi di riacquistarle, il vicino di casa non legge più un libro da vent’anni e rischia di toglierti il saluto se ci riprovi, in fine ti guardi intorno desolato; non resta che il cassonetto del riciclo della carta. Una signora del mio quartiere, accanita lettrice da Supermercato, riempie la borsa con i libri già letti, li impila e li abbandona su di una panchina del parco. “Signora, ha dimenticato i suoi libri,” le dico un giorno che la sorprendo. “No, no, non li ho dimenticati, io li ho già letti e non so più che farmene, magari qualcuno è interessato e li prende, mi dispiace troppo buttarli via ancora nuovi, alcuni sono superpremiati, hanno ancora la fascetta dorata”. Insisto “E qualcuno li prende?” “A volte uno, a volte due, dipende. A volte finiscono per terra”.

Allora ringrazio Gabriella Segarelli, titolare di Effatà, che mi ha suggerito di leggere il libro di Derio Olivero “Riprendiamoci la vita”. Non conosco l’autore; leggo che è il vescovo di Pinerolo. La sua biografia non mi dice un granché: appassionato di arte, dei giovani, di fotografia.

Oggi siamo tutti appassionati di arte, di giovani e di fotografia… Vincendo la mia solita diffidenza, prendo il libro e comincio a sfogliarlo; nelle ultime pagine vi sono illustrazioni, il solito Van Gogh, Monet, le foto di un artista che non mi dice nulla: Davide Dutto. All’inizio del testo, alcune citazioni: Kavafis, Cristina Campo, una lettera ai Corinzi. Per solito, mi dico, quando un autore si appoggia al pensiero di un altro, non è troppo convinto delle cose che dice. Insomma, ne leggo una pagina, “Concretamente vivi”, poi una seconda e una terza. Alla decima mi stupisco di non averlo ancora rifilato in un cassetto. Lo trovo interessante, direi stranamente interessante, anzi molto interessante.

Un testo senza concessioni al compiacimento. Una prosa robusta che cementa pensieri robusti, senza fronzoli, piacevole. E così, piano piano, pagina dopo pagina, scopro Derio Olivero, nato a Fossano e vescovo della diocesi di Pinerolo. Scopro il suo libro di cose buone, di valori buoni, di attese e speranze buone che aiutano a crescere in modo buono. Detto così sembra che stia parlando della solita omelia declamata dal pulpito della cattedrale. Ma non è così, non è per niente così, non ho trovato una sola pagina banale. Ogni pagina porta ricchezza e profondità di pensiero; non dottrina, non buoni propositi o sterili raccomandazioni, ogni pagina offre soluzioni di vita, regala coraggio, hai sempre la sensazione che nel bailamme e nella confusione della società moderna ci sia ancora una via di fuga, tante vie di fuga per evitare l’omologazione, l’appiattimento, la sterilità dell’animo.

E poi è scritto bene. Molto bene, con squarci narrativi che abbracciano la poesia quando si riesce ad afferrare ogni palpito dell’esistenza, di storia, di vissuto: un cielo stellato, un prato riarso con tre alberi frondosi, una notte trascorsa ad arare al buio finché non senti male agli occhi; forse non fatica perché sei immerso nell’universo stellato, solo un bruciore agli occhi perché scopri finalmente te stesso, la gioia di vivere, ti accorgi di scoprire nell’oscurità la presenza confortante di Dio.

Quando recensisco un libro, mi capita talvolta di avvolgerne il contenuto dentro allusioni o immagini letterarie che esprimano in modo più o meno corretto il mio modo di intendere l’opera. Con “Riprendiamoci la vita” non funziona così, non c’è nulla che si possa aggiungere per impreziosire il contenuto. Viene da scrivere unicamente: il libro è bello, molto bello. Qualcuno chiederà: sì, ma perché? Cosa c’è di bello? Semplice, perché aiuta a vivere, allevia la fatica, ti dà coraggio, linfa, scoperta, vitalità, non ti lascia accasciato sul divano a piangere sul tuo ombelico.

Tutto qui, e non credo sia poca cosa. È un libro da leggere e da regalare, ma non solo per Pasqua o per Natale, in tutti i periodi dell’anno; anche il primo di marzo quando, come dice l’autore, non succede proprio nulla di nulla, nessuna ricorrenza, nessuna enfasi, nessun chiasso fuorviante. Solo un giorno di vita come tanti altri dove ci chiediamo: Chi sono? Cosa mi aspetterà domani? Sarò capace d’essere felice? Come ne uscirò da questo maledetto imbroglio? Saprò cavarmela? Troverò sufficienti energie? So solo che “se sono scoraggiato, Gesù prende il mio volto tra le sue mani e mi dice: “Puoi farcela, ti voglio bene”, Con questa certezza possiamo affrontare con coraggio tutte le nostre lotte contro il male. Con questa fiducia possiamo sognare il bene” pagina 184.

(Commento di Pier Luigi Coda da www.dictamundi.net )


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