Amico Libro – L’emancipazione della donna attraverso il cibo

L’associazione di volontariato culturale Amico Libro propone una nuova “pagina di lettura” sull’emancipazione delle donne. Si parla spesso di cibo, della sua importanza nello sviluppo culturale e sociale della civiltà, dei riti e delle mode che intorno ad esso si sono avvicendati nel tempo, mentre si parla poco dell’ambiente in cui esso si produce. La dottoressa Elisabetta Cocito ci accompagna a scoprire lo spazio della casa adibito a cucina, luogo che nei secoli ha subito una lenta ma progressiva evoluzione.

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L’emancipazione della donna, che nella preparazione del cibo ha da sempre avuto un ruolo fondamentale, ma per lo più “nascosto”, è stato un processo difficile, lungo e faticoso.

Sicuramente è con la scoperta del fuoco che viene a stabilirsi una sorta di suddivisione di ruoli tra uomo e donna. Mentre l’uomo è a caccia, la donna, oltre a procurare erbe, frutti e verdure, si occupa della cura del fuoco, difficile da accendere ma soprattutto da mantenere vivo con cure costanti. Ruolo sicuramente importante ma che, insieme alla reminiscenze bibliche (Eva che aveva ceduto alla tentazione) e a quelle mitologiche (Pandora che apre il vaso), ha intrappolato per secoli la donna in una posizione di sudditanza.

Le donne dovevano essere tenute occupate e custodite. Una delle restrizioni era anche quella del divieto di consumo del vino. Pensate che in epoca romana esisteva lo ius osculi, l’usanza del bacio di mariti e parenti per verificare se le donne sapevano di vino. Questo perché l’ebbrezza poteva indurre all’adulterio; credenza che si mantenne anche in epoca medievale.

Non era l’unica discriminazione tra uomo e donna. Mangiare abbondantemente era un segno distintivo di potere e di forza per l’uomo, mentre per la donna era considerato segno di debolezza. Accostarsi al cibo con indifferenza o comunque con molta misura faceva parte dell’etichetta: nei banchetti si doveva mangiare poco, anche al proprio matrimonio. Ancora Casanova, e qui siamo nel Settecento, afferma che la donna che mangia con gusto è disposta anche a “farsi mangiare” con gusto. Chiara qui l’allusione alla relazione tra cibo e sesso. Poter godere apertamente di un cibo è tutto sommato una conquista recente.

La disparità di ruoli e comportamenti era rafforzata dai molti pregiudizi che si sono susseguiti nel tempo: i predicatori sostenevano che l’ozio induceva la donna a fare cattivi pensieri aprendo le porte al peccato e quindi bisognava tenerla occupata. Si trattava di lavori faticosi e mal retribuiti. Anche le donne di ceto elevato dovevano essere impegnate a fare qualcosa per gli stessi motivi (qui si parla di ricami, pizzi etc.). Le donne istruite erano una rarità.

Se l’iconografia, in particolare medievale, riporta raramente immagini di donne intente a consultare o scrivere libri, molte sono le rappresentazioni della donna impegnata nelle incombenze domestiche, nella preparazione di pane o minestre, oppure nei lavori dell’orto e del giardino.

Esistevano ovviamente anche le cuoche, ma i ruoli principali della cucina almeno fino all’Ottocento sono stati sempre appannaggio degli uomini. Per secoli le donne hanno avuto solo un ruolo di sguattere. Queste massere erano figure di basso profilo e, oltre ad aiutare in cucina, spazzavano, facevano il bucato, governavano le galline e, come riporta un testo di fine Cinquecento, dovevano ” nutrire i servi e all’occorrenza preparare qualche pranzo per i padroni, ma solo se non ci sono ospiti”.

In ambito domestico il lavoro delle donne era incentrato principalmente sulla preparazione del cibo: l’iconografia classica le ritrae sedute su bassi sgabelli impegnate a rimestare il contenuto di pentole appese sopra al focolare. Sarà solo nel Settecento che le pentole verranno posate su treppiedi consentendo alle donne di cucinare in posizione eretta.

Nel XV e XVI secolo, con l’affermarsi del ceto mercantile, nelle classi agiate la cura della casa assume un’importanza notevole e viene affidata alla padrona. Ancora una volta però il ruolo della donna si esplica tra le mura domestiche: a lei il compito di dirigere i lavori domestici, stare attenta allo spreco, provvedere ai bisogni della famiglia, fermo restando che non avrà comunque autonomia. Compito delle madri è insegnare alle figlie le arti domestiche per divenire future ottime padrone di casa. Nel corso del Settecento si diffondono numerosi opuscoli volti ad insegnare le buone maniere a tavola, ricchi di suggerimenti e regole per noi scontati, come ad esempio, non prendere la carne con le mani, usare il tovagliolo e non la tovaglia per pulirsi. Sul finire del Settecento diventa di gran moda il caffè e gli uomini, intellettuali e borghesi, si ritrovavano nei Caffè a sorbire la bevanda assurta a simbolo del libero pensiero e della cultura razionalista del tempo; le donne non erano ammesse in questi locali pubblici. Esse cominciarono a consumare caffè quando questo divenne di utilizzo quotidiano, al mattino a colazione o al pomeriggio nei salotti. Non diverso il destino della cioccolata, apprezzata per le sue caratteristiche corroboranti e nutritive, ma guardata con sospetto per le presunte proprietà afrodisiache. Sarà solo a partire dall’Ottocento che la donna potrà concedersi la libertà di consumare un caffè o una cioccolata con le amiche in un locale pubblico.

Sempre durante il Settecento comincia a delinearsi una presenza femminile di un certo rango in cucina al di fuori delle mura domestiche. Ad imitazione del modello parigino dovuto all’affermarsi della cucina borghese, emerge anche in Italia la figura della cuciniera a cui si deve soprattutto la capacità di saper offrire un modello di cucina adatta alla nuova borghesia, che altro non è che la sintesi tra cucina popolare e aristocratica.

In realtà in Italia il cambiamento è più lento. La crisi agraria degli ultimi anni dell’Ottocento si fa sentire anche nelle case borghesi dove, per supplire alla riduzione del personale di servizio, la cuoca assume in sostanza un ruolo di tuttofare. Il grande salto per la donna avverrà con Artusi e il suo libro “La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene” che sarà il mentore di una nuova cucina nazionale, rivolta soprattutto alle massaie, frutto di un intenso carteggio con le sue lettrici e ad esse destinato e che sarà negli anni tramandato secondo tradizione, di madre in figlia.

Nel delineare il ruolo della donna nei secoli non si può dimenticare una importante funzione che essa ha esercitato nei tempi passati. Le sue conoscenze le hanno consentito di maneggiare erbe e spezie anche in ambiti più vasti: curare, guarire, rinfocolare il desiderio, oppure stroncarlo e purtroppo anche avvelenare. Forse non tutti sanno, che Walt Disney per il personaggio di Grimilde, la regina avvelenatrice della fiaba di Biancaneve, si ispirò ad una statua raffigurante Ute di Ballensedt, figura nobile vissuta nell’anno Mille, che fu processata per stregoneria (e poi assolta).

E proprio a quell’epoca risalgono i primi testi scritti da donne sull’uso diciamo medico dei cibi e delle erbe. Hildegrada di Bingen, colta monaca del Millecento, cosi come Trotula de Ruggero, ci forniscono trattati ricchi di indicazioni su come trattare e somministrare medicamenti, sulla bontà degli alimenti e su come consumarli.

Era un epoca in cui alle donne era ancora riconosciuto il ruolo di guaritrici, ruolo che venne poi gradualmente intaccato con la nascita delle prime Università che istituzionalizzarono discipline come medicina e diritto, rendendole accessibili ai soli uomini. La pratica medica divenne severamente proibita alle donne e pose di fatto fuori legge l’attività delle “guaritrici” che vennero confinate in un campo magico/superstizioso con odore in molti casi di stregoneria. Andando a ben guardare, in realtà negli armadi degli ospedali dell’epoca si trovano pressoché le stesse sostanze che erano in casa delle guaritrici.

Dopo aver parlato del ruolo della donna nel tempo vorrei gettare uno sguardo sull’ambiente in cui prevalentemente la donna si muove, cioè la cucina.

Parliamo sempre, e talora in modo anche un po’ pervasivo, del cibo, della sua importanza nello sviluppo culturale e sociale della civiltà, dei riti e delle mode che intorno ad esso si sono avvicendati nel tempo, mentre poco si parla dell’ambiente in cui esso si produce. Lo spazio della cucina ha subito nei secoli una lenta ma progressiva evoluzione e si presta ad essere letto da diversi punti di vista, come cuore della famiglia, luogo di fatica, laboratorio sperimentale e creativo.

Dal tempo della scoperta del fuoco il fulcro della vita sociale per lungo, lunghissimo tempo è stato, come abbiamo detto, il focolare, punto fermo intorno a cui si sono operati e susseguiti cambiamenti epocali. Nei diversi periodi storici il cosa e il come mangiare sono stati condizionati da norme, regole sociali e religiose, nonché dall’evoluzione delle tecniche, che hanno comportato anche un adattamento e riorganizzazione degli spazi adibiti alla preparazione e alla cottura del cibo.

Un esempio tra i più significativi riguarda la preparazione del pane. Fino ai primi Novecento, il pane si impastava in casa e questo richiedeva la madia, i cassetti per le farine, i piani in legno per impastare; tutti oggetti scomparsi nel momento in cui si cominciò ad acquistare il pane già pronto in apposite botteghe. Per contro, il frigorifero ed il surgelatore sono diventati parte integrante e irrinunciabile dell’arredo delle cucine di oggi, dove peraltro conserviamo anche il pane (surgelato!).

Nell’antichità il luogo dove si cucinava era spesso l’unico ambiente in cui scorreva tutta la vita familiare, dove a volte anche si dormiva. Questa promiscuità verrà meno nelle case nobiliari e, successivamente in quelle borghesi, con l’accentuarsi della divisione degli spazi non solo fisici, ma anche gerarchici tra padroni e servitù.

Nelle abitazioni umili lo spazio viene condiviso dagli artigiani con i propri operai: si lavora, si cucina e si mangia nello stesso ambiente. Invece nelle case del ceto benestante, dei ricchi mercanti e uomini d’affari, la parte dedicata all’abitazione e alla rappresentanza è separata dai locali di servizio. In particolare la sala dove si riceve deve essere lontana dalla cucina per evitare la vicinanza con possibili fumi e odori. La separazione degli ambienti risponde ad esigenze funzionali, ma ha anche una forte valenza simbolica: le parti nobili della casa dovranno essere lontane dagli ambienti di lavoro, sporchi e fuligginosi. Le cucine, le dispense, i luoghi dei domestici, ancorché indispensabili, sono luoghi ” secreti”. I fastosi pranzi rinascimentali e barocchi richiedono una cucina perfettamente organizzata, ma nascosta. Le case più ricche hanno addirittura due cucine: una  “palese” per i banchetti ufficiali e una “ secreta” per i pranzi privati della famiglia del padrone.

L’illuminismo, in linea con i suoi principi fondanti, porta con sé un cambio di atteggiamento anche nei confronti del cibo: si abbandonano gli eccessi e le preparazioni sovraccariche di spezie e zucchero a favore di un’alimentazione più semplice e naturale. Per coerenza, anche gli ambienti si adeguano: nelle case dei benestanti la cucina presenta una struttura più sobria e funzionale, con colori più chiari, i colori tipicamente settecenteschi

Decisiva nel rivoluzionare l’organizzazione della cucina risulta poi l’introduzione nell’ Ottocento del servizio “alla russa”, che prevede di servire a ciascun commensale le diverse portate in successione su piatti singoli, in sostituzione del farraginoso e complesso servizio “alla francese”, che prevedeva l’ostentazione in contemporanea di numerose portate su piatti collettivi da cui i commensali dovevano servirsi.

Si deve sicuramente al grande Carême la codifica di un nuovo modo di cucinare, con la definizione di un indirizzo che varcherà presto i confini francesi. Carême concepisce e realizza l’ambiente dove si cucina come un laboratorio dove sperimentare utilizzando tecniche e strumenti efficienti e moderni con una perfetta razionalizzazione degli spazi che lascerà il segno nella progettazione delle cucine future.

Procedendo nel tempo, nell’Italia del primo dopoguerra viene enfatizzato il ruolo della donna “dirigente della casa”, cui si demanda la gestione del menage famigliare secondo regole di ordine ed efficienza. Anche la cucina deve essere riorganizzata secondo un criterio razionale e soprattutto ridotta nelle dimensioni all’essenziale. Dalle immagini sulle riviste dell’epoca, si nota che la cucina contiene sempre una bilancia per eseguire perfettamente le ricette senza spreco, oltre ad un orologio, generalmente a muro, per scandire i ritmi di lavoro; particolare quest’ultimo carico di significato e precursore dei tempi, vista la fretta odierna che ci condiziona.

Si arriva poi alla interpretazione visionaria di Marinetti con la sua cucina futurista che guarda all’estetica, al tattile, all’olfattivo, cucina ricca di provocazioni e di combinazioni ardite. La sua idea di cucina prevedeva lampade, distillatori, apparecchi per l’ozono che, visti con gli occhi di oggi, ci portano inevitabilmente alla mente le cucine dei grandi chef creativi, a volte simili a fucine o laboratori di alchimisti.

Dagli anni ’50 in poi la cucina assume pian piano la funzione di luogo aggregante, sociale, fino a diventare quello che è oggi: un luogo ad alto contenuto tecnologico, dove molto è affidato a tempi e metodi pianificati a priori, che ci consentono di programmare orari e modalità di preparazione che lasciano pochi margini di errore, sollevandoci, cosa non da poco, da molte fatiche manuali e “perdite” di tempo: cucine molto tecnologiche, però pulite, eleganti e accoglienti, dove possiamo vivere momenti di socialità, cucinando magari assieme agli amici o al proprio partner.

La contaminazione tra tradizioni di paesi diversi, oggi molto amata, ha anche arricchito la nostra cucina di profumi nuovi e, cosa da non trascurare, di utensili e pentole nuove (wok, cestelli in bambù per la cottura a vapore..) rendendola così anche un luogo di aggregazione di saperi

Concludo tornando sul tema di partenza dell’emancipazione femminile che ho cercato di delineare nei diversi aspetti di diversificazione dei ruoli e di discriminazione rispetto alla figura maschile. Un processo tuttora incompiuto e ancora in corso che vede una presenza femminile ancora sbilanciata nel settore dell’imprenditoria gastronomica e in particolare della ristorazione.

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Elisabetta Cocito

Studiosa e appassionata di cucina, ha focalizzato i suoi interessi sugli aspetti storico culturali legati all’alimentazione, con particolare riferimento all’evoluzione di tradizioni e costumi.

Dal 2013 è Direttore del Centro Studi Territoriale del Piemonte e dal 2015 anche Segretario nazionale del Centro Studi Franco Marenghi dell’Accademica Italiana della Cucina (Istituzione culturale della Repubblica Italiana)

Contribuisce alla stesura dei volumi della collana “Itinerari di cultura gastronomica” su specifici temi individuati anno per anno e collabora con la rivista “Civiltà della Tavola” con un attivo più di 50 articoli su storia e antropologia del cibo.

Relatrice a Convegni su temi di cultura gastronomica

Membro del Comitato direttivo del Centro Pannunzio, insignito nel 1979 della Medaglia d’oro al merito di cultura, storia e arte della Presidenza della Repubblica Italiana.

Coautrice dei volumi:
“Menu delle Montagne” (2017 – Priuli&Verlucca);
“Mario Soldati – La gioia di vivere” (2019 – Golem Editori);
“Le memorie che lascio saranno una perla” (2019 – Soc stor Valli Lanzo).

Autrice del libro:
“L’albero di Hugo – Ragionando di cibo” (2018 – Kemet)

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