Consiglio di lettura di Amico Libro: «Vivere le parole» di Nunzio Galantino

L’associazione di volontariato culturale Amico Libro, non potendo organizzare incontro, propone un consiglio di lettura sul tema specifico “vivere le parole”.

 

Pavel Florenskij scrive all’inizio del saggio Stupore e dialettica «Può esistere una parola che non significhi nulla?», e spiega che il linguaggio è una dimensione costitutiva della persona, perché essa favorisce relazioni, e non solo, chi coltiva la parola, impara a capire se stesso.

Da questo muove il saggio «Vivere le parole», edito Piemme, di Nunzio Galantino, vescovo dal 2011 con Papa Benedetto XVI, e oggi, con Papa Francesco, segretario generale della Conferenza Episcopale Italiana. È un libro che raccoglie centoundici voci, che l’autore ha cominciato a commentare sull’edizione domenicale del Sole 24Ore a partire dall’anno 2016, nella rubrica «Abitare le parole».

Il libro, che ora le raccoglie, ha una prefazione di papa Francesco: «Le parole non sono neutre, né lasciano mai le cose come stanno. Vivere le parole significa superare sospetti, paure e chiusure per assumere il coraggio liberante dell’incontro».

Fra le tante parole che l’autore ci propone, scegliamo: Deserto. Scrive Galantino: il termine latino desertus, dal verbo deserere, ovvero abbandonare, e il greco eremos, identificano un luogo spopolato, un’area della superficie terrestre disabitata da esseri umani e scarsamente abitata da altre specie viventi in ragione delle condizioni atmosferiche poco adatte alla sopravvivenza. Ma non solo. Nella cultura greca, il termine eremos indica anche lo stato di abbandono e di solitudine di un uomo, oltre che di un luogo. Questa accezione sostanzialmente negativa del deserto viene, per certi versi, superata dalla cultura biblica; per Gesù il deserto è la regione solitaria, il luogo e il tempo in cui nulla lo separa da Dio, il luogo che permette il realizzarsi dell’esperienza piena dell’Amore e dell’intimità (cf. pag. 18).

Ed allora assumiamo anche noi, come nostra, la parola deserto, e proviamo a rileggerla con gli occhi di oggi. Mai come ora, esso sembra riflettere la condizione che stiamo vivendo: deserte sono le strade, deserti sono i parchi, luoghi delle passeggiate, luoghi degli incontri, deserti sono i teatri…

E noi viviamo questo deserto. Ma noi “non siamo” deserto. Lo possiamo vivere, o perché ci è richiesto come oggi, o perché lo scegliamo come momento di silenzio, di ricerca di noi stessi, ma, ripeto, noi “non siamo” deserto. Noi siamo esseri di relazione, noi siamo relazione, ci conosciamo e ci costruiamo attraverso la relazione.

Possiamo trovarci in un luogo solitario, chiusi in un eremo, o in una casa, ma essere in relazione. E qui, non mi riferisco a relazioni attraverso web e varie connessioni telematiche, ma parlo di relazione con l’Assoluto, una dimensione del cuore che non ha pareti, che si eleva verso l’alto, verso l’Oltre da noi. Possiamo esprimere questa relazione con parole che diventano preghiera, possiamo esprimere questa relazione con lacrime che sgorgano dalla consapevolezza della profondità ineffabile di questa relazione, con lacrime che esprimono la nostra limitatezza, la nostra sofferenza e fragilità, ma è nel cuore che scopriamo questo incontro con Dio, un incontro che ci dice che non c’è solitudine attorno a noi, non siamo soli. Questo incontro con Dio diventa luogo dell’ascolto, luogo nel quale scopriamo che il cuore non ha pareti, e in questo spazio relazionale, coltiviamo anche la fede. Esso è il luogo nel quale Dio ha introdotto i suoi doni.

A noi, il coraggio di cercare e svelare la bellezza che Dio ha introdotto nei nostri cuori, quel coraggio narrato dalla parabola dei talenti: ognuno di noi ha dei beni unici, che vanno scoperti, coltivati e vissuti, pena trasformarsi, noi, in deserto.

Ed allora si può camminare anche attraversando le prove, ma sapendo che c’è una luce in noi che ci illumina, e scoprendo che Dio ha un amore più grande di quello che l’uomo ha di se stesso.

Ecco come le parole, diventano il vocabolario dell’esistenza.

 

Maria Rita Marenco insegna Sacra Scrittura presso l’Istituto Superiore di Scienze Religiose di Torino, la Sezione Torinese dell’Università Pontificia Salesiana e la Sezione Torinese della Facoltà Teologica dell’Italia settentrionale.

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