Problemi di alcol dipendenza e quarantena da coronavirus: l’esperienza di due associazioni

In epoca di quarantena, con i bar chiusi e l’obbligo di rimanere a casa, come reagiscono le persone con problemi di alcolismo? E l’impossibilità di partecipare ai cosiddetti club alcologici, che ricaduta ha su chi ha deciso di smettere?

Otto milioni e 600mila consumatori a rischio, 68mila persone alcoldipendenti prese in carico dai servizi alcologici, 4575 incidenti stradali rilevati soltanto da Polizia e Carabinieri: i dati nazionali, riportati alle Camere dal ministro della Salute Giulia Grillo nell’aprile 2019, danno l’idea dell’enorme diffusione dei problemi legati all’alcol. Rispetto a qualche anno fa, bevono molte più donne, la moda dell’aperitivo aumenta il consumo fuori pasto e i giovani sono protagonisti di comportamenti pericolosi come il “binge drinking”, sballarsi nel più breve tempo possibile.

A.C.A.T. – ASSOCIAZIONE CLUB ALCOLOGICI TERRITORIALI TORINO 3

“Molti bevono perché gli piace bere – spiega Vincenzo Cocola, presidente dell’A.C.A.T. (associazione club alcologici territoriali) Torino 3 – ma dalla nostra esperienza le situazioni peggiori seguono un trauma: lavoro perso, problemi in famiglia, un lutto improvviso, le persone si attaccano alla bottiglia per affrontare situazioni del genere. Non solo, perché la dipendenza dall’alcol si accompagna spesso ad altre dipendenze, come il gioco d’azzardo, e spesso degenera in comportamenti violenti”.

Nella sua zona di competenza, A.C.A.T. Torino 3 segue una ventina di famiglie divise in tre club: “Tutti i giorni – spiega Cocola – io, il vicepresidente e le tre operatrici facciamo un giro di telefonate e adesso ci siamo organizzati per fare una videochiamata tutti insieme, una volta a settimana, nel giorno in cui normalmente si riuniva il club. Bisogna rimanere a casa, ovviamente, ma non per questo rinunciamo al nostro servizio. Una telefonata sembra poco ma vuol dire tanto: chiedersi come va, raccontarci i piccoli avvenimenti quotidiani, ascoltare una lamentela, tutto questo dà una spinta importante a chi sta affrontando un problema di dipendenza: questo è il volontariato, far sentire agli altri che c’è interesse nei loro confronti”.

Ma l’obbligo di rimanere a casa, di fatto, cosa cambia per chi ha un problema con l’alcol? “Di gente che beve ce n’è tanta, ma da noi ne arrivano molto meno: chi fa parte di un club alcologico ha già deciso di smettere, anzi da tempo non tocca alcol e deve mantenere la stessa abitudine. Il contesto familiare può aiutare, la nostra vicinanza è utile per aiutarli a non mollare. Noi lavoriamo tanto sull’esperienza vissuta, con obiettivo di farli smettere dalle dipendenze: alcol, gioco d’azzardo e quant’altro”.

Come può contattarvi chi ne avesse la necessità, anche solo per una chiacchierata? “Ogni venerdì aprivamo lo sportello di incontro per dare un primo contatto con chi voleva iniziare un percorso con noi, o meglio con i loro familiari che vengono a prendere informazioni e poi cercano di convincere il soggetto, mentre adesso rimane solo il telefono, il numero 371/3634816 è sempre disponibile”.

A.P.C.A.T. – ASSOCIAZIONE PROVINCIALE DEI CLUB ALCOLOGICI TERRITORIALE

“Siamo in contatti giornaliero con le famiglie, al telefono o con i gruppi WhatsApp e Skype per le video chiamate. Manca il contatto fisico, manca tantissimo, ma continua il nostro lavoro al fianco delle persone”. Così Giulia Roselli, presidente A.P.C.A.T. – Associazione Provinciale dei Club Alcologici Territoriale, racconta la sua esperienza associativa ai tempi del coronavirus.

“A livello provinciale – continua – seguiamo quasi un centinaio di famiglie, considerando che ogni associazione territoriale ha almeno 5 club alcologici, ognuno con cinque o sei famiglie. Io seguo personalmente l’associazione zonale di Collegno, Alpignano e dintorni, con 5 club e 58 persone in tutto, quasi tutte coppie. Come volontari, ne abbiamo una decina nella zona ovest ma a livello provinciale raggiungiamo il centinaio”.

Numeri importanti, A.P.C.A.T. riunisce tante persone che hanno dovuto riorganizzarsi in fretta, con l’esplosione dell’emergenza sanitaria: “Per noi è essenziale – prosegue Giulia Roselli – non perderci di vista. Alcune famiglie sono in crisi, cerchiamo di fare il possibile con tutti i limiti che abbiamo in questa situazione. Ogni situazione fa storia a sé, ci sono persone anziane che non è facile tenere in casa, in alcuni casi limite si arriva alle crisi di astinenza, in generale solitudine e depressione sono da combattere quotidianamente. Stare a casa non dà nessun vantaggio, perché noi siamo abituati a un confronto e un abbraccio settimanale, anche il contatto fisico è importante, bisogna guardarsi negli occhi per raccontarsi con calma quello che succede. Alcune persone hanno appena iniziato il percorso, c’è il rischio ricaduta ma a distanza possiamo saperlo solo dai familiari. Insomma è tutto più complicato, anche le dinamiche abituali diventano più complesse se non c’è la possibilità di vedersi di persona. Cerchiamo di colmare il vuoto come possiamo”.

Per chi volesse contattare l’A.P.C.A.T., il numero di riferimento è 348/5249383.

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