Telefono Rosa Piemonte e la sentenza dei jeans che ha indignato tutto il mondo

La recente sentenza della Corte d’Appello di Torino con la quale è stato assolto l’imputato già condannato in primo grado per una violenza sessuale avvenuta all’interno di una squallida latrina, in danno di una ragazza alterata dall’alcool, colta da attacchi di ansia e panico e vomito dopo il primo inatteso e indesiderato contatto fisico, e che riferisce di aver sia prima che durante tale aggressione esplicitamente e inequivocabilmente negato il proprio consenso all’atto sessuale, è stata riportata e commentata da molte testate di stampa, dalle quali si traggono le circostanze del fatto. E’ una sentenza che – seppur oggi nota solo nelle parti virgolettate riportate dai quotidiani, ma anche soltanto in base ad esse – impone una riflessione molto amara su temi cruciali che solo pochi giorni fa abbiamo nuovamente sottolineato in occasione della presentazione del Report associativo sulle nostre attività dell’anno 2021. Ne riprendiamo due in questa sede: la delusione delle vittime di non essere credute, anche di fronte ad evidenze, e il sopravvento del pregiudizio sul giudizio.

La sentenza eleva l’interpretazione soggettiva dell’uomo a criterio di valutazione dell’esistenza del consenso della donna. Ricostruisce le circostanze del fatto definendole, a favore del primo, “occasione propizia che questi non si fece sfuggire”, autorizzandolo a “osare”, accedendo così alla prospettazione (dell’uomo) di un rapporto sessuale dalla donna voluto, anzi addirittura “invitato”, secondo la di lui valutazione, ma poi da lei non “gestito” perché “un po’ sbronza e assalita dal panico” (scrive la Corte). Autorizza l’autoreferenzialità e il predominio dell’opinione del cacciatore sulla disponibilità della preda ad essere catturata.  E questo nonostante il racconto di lei dell’aggressione subita sia stato immediato; nonostante la denuncia, la reiterazione inalterata della testimonianza in sede giudiziaria, l’assenza totale di ragioni per una accusa inventata, la certezza in fatto delle condizioni fisiche della ragazza antecedenti, e dei malori conseguenti.  Semplicemente, la Corte non le ha creduto quando ha ripetuto di aver chiaramente manifestato dissenso, a parole e a fatti. La cerniera dei pantaloni di lei rotta? “Nulla può escludere che sull’esaltazione del momento, la cerniera, di modesta qualità, si sia deteriorata sotto forzatura”, scrive la Corte.

 “L’esaltazione del momento” … L’amarezza – e non solo quella – di chi legge aumenta. “Nulla può escludere” neanche che queste parole dei giudici abbiano provocato una evitabilissima vittimizzazione secondaria della persona offesa, danno che anche la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha raccomandato all’Italia – censurando esplicitamente nostre sentenze sbagliate – di smettere di infliggere.

 

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